Turchia in moto – Under the jellow
Immersi nel giallo caldo e avvolgente dei campi di grano, circondati dalle dolci colline che si allungano quasi all’infinito disegnando un paesaggio a tinte chiare e rilucenti, riprendiamo il nostro viaggio direzione sud – est verso il cuore di questa splendida regione che prende il nome di Anatolia.
Dal sito dell’antica Hattusa che ci ha lasciato senza fiato per bellezza e storia rientriamo sui nostri passi per imboccare la D785 direzione Corum, per poi puntare verso Amasya. Strade larghe e diritte, a tratti nuove di zecca, a tratti anche noiose ma la Turchia è anche questo, un viaggio on the road dove le distanze sono le protagoniste, almeno sino a quando si raggiunge la meta.
Turchia in moto – La suggestiva Amasya
Amasya, che una leggenda vuole fondata da Amasi, la regina delle amazzoni, ci attende adagiata sotto uno sperone roccioso lungo le rive del fiume Verde.
Come quasi tutte le medie cittadine turche anche Amasya presenta ferite inferte negli ultimi anni dalla forsennata e, per molti versi, insensata speculazione edilizia, ma il suo centro storico, il suo cuore pulsante mantiene ancora oggi inalterato il fascino dell’urbanistica classica dell’impero ottomano con le sue case dai balconi sfalsati e dalle mille finestre, i famosi konak che abbiamo incontrato restaurati e ben conservati a Safranbolu e che ritroviamo qui oggi, aggrappati ad una grande rupe dalla quale, sovrastante in maniera inquietante, fa bella mostra di sé l’antica cittadella.
Intorno a quest’ultima possiamo ammirare i resti di antiche tombe scavate nella roccia costruite, quattro secoli prima di Cristo per ospitare le salme dei re del regno del Ponto, un regno ellenistico fondato da Mitridate nel 285 a.C.
Da Amasya in piega verso Zile
L’aria che si respira a Amasya è allegra e spensierata, frequentata da turisti che tranquilli e rilassati passeggiano lungo le rive del fiume, o gli anziani del luogo che, sotto al monumento dedicato a Mustafa Kemal perché fu proprio qui che Atatürk emanò la “Circolare” con cui dichiarava la patria in pericolo e chiamava alla resistenza, cominciando ufficialmente la Guerra di Indipendenza, siedono sulle panchine o nei bellissimi bar che affollano il centro.
Usciamo dalla città a malincuore e imbocchiamo la strada per Zile, un suggestivo percorso di montagna che attraversa zone rocciose e valli tanto profonde da apparire sconfinate. Il tempo non aiuta, la pioggia inizia a scendere a tratti anche insistente senza togliere nulla alla bellezza del paesaggio che scivola a margine della strada.
Una cava di marmo si apre davanti a noi, giovani operai attendono che smetta di piovere per ritornare al lavoro e approfittano della pausa per invitarci a visitare il sito che ricorda molto le antiche cave di marmo che abbiamo conosciuto viaggiando in Italia, specie tra le Apuane nella zona di Carrara.
L’incontro è abbastanza divertente,i gesti sostituiscono le parole di una lingua difficile da comprendere ma alla fine, come sempre, ci si intende con gli occhi e con il cuore. Ci invitano a fotografare la cava prima di riprendere la via che curva dopo curva ci porterà a ritrovare il caldo sole dell’Anatolia e un tempo più clemente a Zile.
Qui passò il grande Cesare
Veni, Vidi, Vici, tutti sappiamo chi pronunciò questa frase, non tutti sappiamo però dove fu pronunciata e perché. Bene, ora ve lo sveliamo: fu proprio qui a Zile.
Gaio Giulio Cesare a capo delle sue truppe di legionari vinse contro il re del Ponto, Famace II, nel 47 a.C. in una delle sue battaglie più straordinarie e folgoranti che lo portarono, come racconta nel suo libro “Vite parallele” lo storico e biografo greco Plutarco, a pronunciare questa frase. “Subito marciò – racconta Plutarco -contro di lui con tre legioni e dopo una gran battaglia presso Zela lo fece fuggire dal Ponto e distrusse totalmente il suo esercito. Nell’annunziare a Roma la straordinaria rapidità di questa spedizione, scrisse al suo amico Mazio tre sole parole: “Veni, vidi, vici”.”
Oggi Zile, in antichità Zela, è una tranquilla cittadina che si allunga lungo le rive del fiume Cekerek. In cima alla collina, che sovrasta il paese composto da case in stile ottomano e belle moschee, troneggia una suggestiva cittadella dalle mura di forma circolare raggiungibile in moto salendo ripide stradine.
Anche Zile, come quasi tutti i centri urbani che abbiamo incontrato nel nostro viaggio, dimostra grande vivacità. Tante piccole attività sia commerciali che artigianali e, nel cuore della città, il bazar fonte di scoperte e di ispirazione. Grande movimento, traffico caotico ma tutto vissuto in scioltezza e senza stress.
Ripartiamo alla volta di Tokat dove abbiamo deciso di passare la notte. Rientriamo su strade più confortevoli come la D190 prima e la D180 poi. Niente da segnalare purtroppo, immersi come siamo in un paesaggio monotono e dal traffico sostenuto che ci trascina, per i chilometri che restano da percorrere, sino alle porte della città.
In realtà non ci aspettiamo nulla, Tokat è diventata una tappa obbligatoria per chi vuole, come noi visitare il sito del Nemrut dagi, eppure , con piacere, sbagliamo, e di grosso. In Turchia non bisogna mai dare nulla per scontato ed è con un senso crescente di piacevole meraviglia che in serata superiamo le porte d’accesso di questa città dal grande passato.
Tokat patria degli Yazmalar
Ricca di luoghi da visitare come il Konag di Latifoglu, un palazzo signorile (Konak) che ha ospitato il pascià nel XIX sec. e oggi restituito dopo un attento restauro alla sua originale bellezza, Tokat riserva al viaggiatore curioso diverse e molteplici sorprese.
Fantastica nella notte che sta arrivando la cittadella abbarbicata in cima alla rupe che sovrasta l’antico borgo ottomano ancora oggi vivo nella sua originalità. Qui ancora oggi, passeggiando tra le strette vie, possiamo cogliere stili di vita mantenuti inalterati dal passaggio del tempo. Ed ecco così la piccola moschea, il negozietto di frutta e verdura, i bambini che giocano per la strada, i panni stesi nei giardini, gli immancabili gatti che qui trovano cibo, acqua e rispetto.
Ultimo ma singolare, Tokat vanta la lavorazione unica di Yazmalar, un foulard di cotone che ripropone antichi disegni realizzati attraverso un processo di lavorazione che si tramanda da tempi antichi. Antichi ideogrammi, quelli riprodotti sui timbri di legno, che riprendono addirittura gli stilemi provenienti dalla cultura ittita per riperpetuare, poi applicati a stoffe per la realizzazione di foulard famosi in tutto il paese, una delle pagine di storia più alta di queste terre.
Guidando lungo le stradine del borgo troviamo una bottega ben fornita nella quale acquistare la preziosa merce con cui far felici gli amici al ritorno e, dopo una notte trascorsa in un hotel situato sotto la rupe che ospita l’antica roccaforte, in mattinata siamo pronti ad affrontare l’impegnativa attraversata dell’Anatolia che ci porterà nel cuore del nostro viaggio: il Nemrut Dagi.