Alla sorgente del fiume Uso – “C’è chi non sa dove andare e sta correndo per andarci subito.” Che forte Tonino Guerra, il meraviglioso cantore santarcangiolese che con la melodia del dialetto ha saputo raccontare anche a noi, suoi conterranei, i nostri luoghi e le nostre valli!!
Noi, al contrario del viandante di Tonino, sappiamo dove andare. E proprio per questo non abbiamo fretta, anzi godiamo lentamente, quasi assaporandole, delle piccole gioie che gli stessi luoghi che hanno ispirato Tonino sanno regalare a chi abbia la buona ventura di visitarle.
Il fiume Uso e le sue genti
L’Uso è un fiume lungo 50 km. Più che un fiume un torrente, che nasce alle pendici del monte di Perticara e scorre, ora qui ora là, tra le province di Forlì e Cesena per poi, rientrando in quella di Rimini, sfociare nel Mar Adriatico a Bellaria Igea Marina.
Detto così potremmo anche chiudere qui il nostro racconto e salutarvi. Fortunatamente però dietro questa sintesi wikipediana si nasconde ben altro. Si nasconde la storia delle genti romagnole, della loro bellicosità, della loro protervia, e poi della laboriosità e della genialità che da sempre contraddistingue questo popolo, le nostre genti, temprato dalla vita e dalle vicissitudini della storia.
In partenza dal porto di Bellaria – Igea Marina
Bellaria da Igea marina, dal nome che a inizio ‘900 Vittorio Belli, riminese e medico, diede a un centro di villeggiatura progettato sulle dune sabbiose fra l’Uso e Torre Pedrera dedicato a Igea, figlia di Asclepio, dio della medicina, e alla balneoterapia,si parte da qui,a ritroso alla scoperta del fiume Uso.
Al di là della statale il primo incontro. E’ il Castello Benelli nella campagna di Bordonchio, nelle terre appartenute alla famiglia Torlonia.
E’ qui, sui resti dell’antico Castrum Libani che il conte Pietro Spina nel XIX sec. fa costruire un castello. Un maniero che ricalca perfettamente lo stile di una dimora fortificata del quattrocento che oggi, abitata e in buone condizioni, appartiene alla famiglia Benelli.
Seppur nascosta dalla cortina di alti alberi, recintata e protetta da cani, non è male una sosta per ammirarne lo stile che rimanda ad un periodo della storia molto vivace per queste terre.
Lungo gli argini dell’Uso
Riprendendo la via verso San Vito guidiamo la nostra moto lungo gli argini del fiume. Ma è seguendo l’istinto più che la cartina però che troviamo, svoltando a destra su via Donegallia, il ponte di pietra che, molto particolare, ci porta scavalcando il corso dell’Uso sull’argine opposto, da dove riprendiamo la corsa verso villa Torlonia.
E’ strada bianca, moderatamente impegnativa nella guida, ma capace coi suoi silenzi d’immergerti nel microcosmo vivo e disordinato della nostra pianura, in paesaggi lineari, soffusi, ora avvolti dalle nebbie invernali o come oggi dal sole cocente, ma pieni di vita e d’armonia.
I Torlonia e la sua villa
Da qui, proseguendo lungo sentieri dal fondo sterrato, in breve siamo alla vista della bellissima villa appartenuta alla famiglia dei principi di Torlonia, i cui possedimenti si allungavano sino all’entroterra riminese. La famiglia Torlonia era ricchissima, mercanti di tessuti e sarti a Roma, aprirono anche una banca e furono una delle ultime famiglie in Italia a essere insignita di titolo nobiliare.
Qui resta la villa, detta anche “Torre di Giovedìa” o più semplicemente, come la chiamavano gli abitanti del luogo, la “Torre”. Per noi romagnoli rappresenta anche una nota emotiva e d’affetto per essere la testimonianza di un grandissimo poeta come Giovanni Pascoli, il cui padre, Ruggero, fu amministratore della tenuta sino alla tragica morte e che viene ricordata dal figlio ne“La cavallina storna”.
La via Emilia e il ponte romano di San Vito
Proseguendo lungo la provinciale 13 bis, la vecchia via Emilia dove, in alcuni tratti sembra ancora risuonare il rumore ritmato delle marce delle legioni romane, ci allunghiamo verso San Vito per un nuovo, entusiasmante incontro con la storia. Proprio dietro il campo sportivo, appena visibile dalla strada, spuntano infatti gli antichi resti di un ponte romano che, riemerso agli onori delle cronache da nuovi scavi archeologici, ha riacceso tra gli storici l’antica diatriba che ciclicamente si rinnova da secoli.
Una disputa tra storici ancora aperta
Ciò che si perde nei campi dietro alla parrocchiale di San Vito, è sufficiente a riaccendere l’interrogativo: cosa ci fa perso nella campagna un ponte così ampio e possente così come testimonia la presenza dell’ultimo degli otto archi originali? E che senso può avere la presenza di un’opera così importante – pensiamo che il ponte di Tiberio, che pur segna uscendo da Rimini l’inizio della via Emilia, è di “sole 5 arcate” – per superare quello che a tutti gli effetti è un torrente? Non potrebbe essere questo, il torrente Uso, il “vero” limes della Repubblica Romana che il 10 gennaio del 49 avanti Cristo Giulio Cesare di rientro dalla Gallia attraversa con le sue legioni per marciare contro una Roma che, divisa da lotte intestine, considerava il generale romano un nemico?
Come è noto fu un atto impositivo di Benito Mussolini a decretare nel 1933 quale tra i tre pretendenti (assieme all’Uso, il Pisciatello e il Fiumicino) fosse il “vero” Rubicone nel ponte romano che attraversa a Savignano il punto esatto in cui Cesare gettò il dado e cambiò la storia. ‘Alea iacta est !’.
Una decisione “definitiva”… ma solo all’apparenza perché ancor oggi storici e appassionati continuano a interrogarsi, indefessi nella ricerca di prove inconfutabili che avvallino le proprie tesi.
Prove che qui, nella quiete di questa campagna romagnola probabilmente non troveranno mai così da poter prolungare all’infinito queste avvincenti discussioni.
Alla vista del piccolo borgo di Santarcangelo
E’ ancor colmi di queste suggestioni che dalla pianura iniziamo lungo la provinciale 13bis la salita verso i primi dolci declivi che ospitano uno dei borghi più belli della nostra provincia.
Già da lontano adagiata sul morbido colle chiamato colle di Giove, Santarcangelo di Romagna mostra il proprio profilo di borgo fortificato medioevale da cui oltre al campanile si staglia la bellissima rocca Malatestiana.
Piazza Ganganelli, il grande arco trionfale in onore del concittadino Papa Clemente XIV, la Torre del Campanone, Porta Cervese, Piazza delle Monache, la Chiesa Collegiata, la Pieve di San Michele, lo Sferisterio sono le perle di questa città ricca di fascino entro cui con dolcezza possiamo passeggiare addentrandoci nelle piccole vie che risalgono verso la cima.
In basso, sfiorando il borgo, scorre l’Uso e seguendolo in breve si arriva a Poggio Berni e, poco prima all’imponente Palazzo Marcosanti, uno dei complessi fortilizi meglio conservati che incontreremo e che dal XIII sec. oggi arriva sino a noi nelle vesti di un agriturismo con annesso ristorante per la gioia di chi ama vivere nelle atmosfere medievali che in questa zona hanno visto avvicendarsi signorotti e grandi condottieri.
La strada verso Montetiffi
Proseguendo sulla SP13 finalmente la moto può lasciarsi andare al piacere delle curve.
A sinistra ciò che resta del castello di Torriana e poco oltre quello di Montebello; a destra San Giovanni in Galilea verso cui varrebbe la pena arrampicarsi solo per godere dall’alto di un paesaggio unico e ancestrale.
La strada si restringe mentre la valle si fa sempre più verde e selvaggia. Da Ponte Uso, piccola conca formata dalla biforcazione del fiume che qui riunisce i suoi due affluenti, inizia la risalita verso Montetiffi.
E’ un piccolo borgo quello in cui dopo una serie di curve giungiamo, dove la meravigliosa poesia di queste terre si unisce a quella dell’abbazia benedettina. Costruita intorno all’anno Mille svetta da sopra la rupe dominando come la sentinella di un passato glorioso una vallata che da quassù incontra con lo sguardo l’inconfondibile profilo del monte Aquilone, la meta finale del nostro viaggio.
L’Uso e le Marmitte dei Giganti
Uscendo dal piccolo borgo ritroviamo la provinciale 88 che, seguendo le indicazioni per Ca’ del Ranco ci porterà dopo una passeggiata a piedi possibile anche con gli indumenti tecnici sugli argini dell’Uso che qui corrono veloci attraverso alcune forre rocciose dando vita a cascate suggestive.
. Una passeggiata assolutamente da non perdere, capace di portarci tra le atmosfere di un ponte romanico costruito nel medioevo sotto cui, attraverso marmitte di bianco calcare, ritroviamo l’Uso. Si insinua scavandosi la via nella roccia bianca che prosegue fino alla cascata che con un balzo di un a decina di metri si getta nella forra sottostante, non prima però d’aver lambito un antico mulino: il molino Tornani testimone silenzioso della vita laboriosa delle genti dell’Uso e dell’importanza strategica di queste zone che oggi ci appaiono quasi magiche nel loro abbandono.
Alla sorgente del fiume Uso – il monte Aquilone
Tra Montetiffi e il monte Aquilone una valle incantata dove le tracce del passaggio della storia si confondono con le antiche vie dello zolfo che da tempo immemore dalle miniere di Perticara scendevano sino al mare o alla via Emilia.
Una vera e propria epopea quella dei minatori di Perticara che troviamo splendidamente raccontata visitando il Museo Sulphur (www.museosulphur.it) e le vecchie miniere chiuse negli anni ‘60.
Lasciamo l’Uso per incontrare il Marecchia
Lasciamo ora il letto del fiume, che continua la sua risalita verso la sorgente, per imboccare, svoltando a sinistra in direzione Talamello, uno dei percorsi che più amiamo di questo itinerario.
Una strada bianca di crinale che dopo una salita a curve e tornanti ci porta sulla cima che separa la valle dell’Uso dalla Valmarecchia. Un incanto di colori, una vista mozzafiato che si allunga su ambo i lati seguendo con lo sguardo le valli sotto di noi.
Già da lontano La rocca di San Leo e subito a fianco ciò che resta di quella di Maioletto. Laggiù lontano il Carpegna e dalla parte opposta il paese del formaggio di fossa, Sogliano. Davanti a noi il Monte Aquilone si avvicina e già si scorge la forra enorme che come un imbuto raccoglie l’acqua piovana che scendendo s’ingrosserà strada facendo per diventare in breve il torrente Uso.
Tonino Guerra e la sua valle
Siamo giunti alla meta, occhi aperti, il cuore colmo perché “non è vero – come dice Tonino – che uno più uno fa sempre due; una goccia più una goccia fa una goccia più grande.” E attorno a noi sembra quasi di sentirla la sua voce mentre fluttua e sussurra nella brezza tiepida che scende dal monte Aquilone così come la vita che scorre tra i rivoli dell’Uso nella sua corsa infinita verso il mare.