Una storia di coraggio e di passione che attraversa le vallate della Romagna. La Trafila di Garibaldi parla di libertà ma parla anche del coraggio delle genti della Romagna.

La trafila di Garibaldi
Il nostro viaggio inizia da qui, da questa stele alta non più di mezzo metro che ricorda un nome leggendario e una battaglia lontana come quella che vide affrontarsi le truppe garibaldine e quelle austriache nelle vicinanze di Montegrimano, sulla linea di confine tra Romagna e Marche.
“Il 30 luglio 1849 – riporta la targa – Garibaldi si fermò sul Tassona per dirigersi il giorno dopo a S. Marino dove sciolse la legione”, ed è da lì – aggiungiamo noi – che iniziò quella fuga, attraverso la Romagna prima e la Toscana poi via mare fino alla Liguria, conosciuta come “la Trafila di Garibaldi”.
Dei 4.000 volontari al seguito del Generale che il 2 luglio avevano lasciato la Repubblica Romana ormai perduta ne rimanevano poco più della metà, braccati com’erano da cinque eserciti nemici che con ripetuti scontri ne avevano decimati numero e sogni.
E chissà come doveva loro apparire il profilo delle tre penne della Repubblica più antica nel mondo che in lontananza, dopo la battaglia, si ergevano come un faro e una speranza di libertà.

Una Ducati rossa come le camicie dei garibaldini
Ed è verso quel miraggio che anche noi, in sella a una magnifica Ducati Multistrada V2, cangiante di rosso proprio come le camicie che indosseranno i volontari garibaldini dieci anni più tardi in Sicilia, ci dirigiamo.
Lasciamo dunque la stele a qualche km da Montegrimano (43.87050, 12.45287) per iniziare un cammino su una strada bianca che, diventata d’asfalto, ci guiderà a San Marino così come aveva portato Garibaldi e i suoi uomini.


Ne seguiremo il percorso, insieme eroico e tragico, in un territorio sicuramente profondamente mutato da quell’estate del ’49 ma altrettanto suggestivo cercando, con i dovuti distinguo, di coglierne l’essenza.
Dalla piccola Repubblica in discesa verso la valle del Marecchia
Del suo passaggio, a poca distanza di Porta San Francesco che attraverso le sue mura da accesso al cuore storico di San Marino, resta più di una lapide a ricordo dei momenti più celebri che accompagnarono la permanenza del Generale, prima che l’impossibilità di una resa onorevole lo convinse a sciogliere la legione e tentare, con un manipolo dei più fidati, la fuga verso Venezia e l’idea di libertà che la città lagunare in quel momento era ancora in grado di incarnare.
E’ nella notte del 31 luglio che in gran segreto prende avvio la fuga, scendendo verso Verucchio e poi il fiume Marecchia, guadandolo all’altezza di Madonna di Saiano.

Lungo la valle dell’Uso
Con lui i più fedeli e anche la moglie Anita che, seppur incinta e ammalata, non volle mai abbandonarlo, fino alla fine. Noi, dopo aver attraversato Borgo Maggiore ed esser scesi verso Acquaviva, aggireremo l’impossibilità del guado di Madonna di Saiano attraversando il fiume più a valle, da Ponte Verucchio per poi, risaliti verso Torriana, ridiscendere verso l’Uso e raggiungere da Masrola San Giovanni in Galilea.

Borgo antichissimo che gode di una posizione eccezionale, un vero balcone da cui si domina la valle dove l’occhio può spingersi fino al Carpegna.
Verso la valle del Rubicone
Ed eccoci raggiungere Sogliano per poi, scendendo verso il corso del Rubicone lungo una serie di tornanti, risalire in direzione di Roncofreddo e proseguire, toccando la chiesa di Musano, fino a Longiano che, tra le mura del suo castello, domina romantico il paesaggio circostante.
Sono strade e stradine incontaminate che raccontano di un territorio lontano dagli eccessi dello sviluppo selvaggio e per questo di gran godimento specie se si ha la fortuna di cavalcare una moto. Raccolti nelle biografie postume di questa fuga rocambolesca rimangono molti racconti d’azione e di affetto ma anche tracce come i cippi (per tutti quello posto all’ingresso di Verucchio) o le lapidi che ne ricordano lo storico passaggio come a Musano, Gatteo e infine Cesenatico, dove all’alba del 2 agosto l’Eroe dei due Mondi, messi in fuga i soldati della sparuta guarnigione, si imbarcò su 13 bragozzi, sequestrati per il bisogno, per tentare la via del mare alla volta di Venezia.

Ed è qui sul porto di Cesenatico, che con le imbarcazioni storiche del suo Museo della Marineria ancorate alla fonda dell’antico porto leonardesco ci permette di rivivere pieni d’emozione quei momenti, che si interrompe il nostro cammino sulle orme di Garibaldi che, sull’onda dei racconti raccolti, abbiamo finora pedissequamente percorso.
Lungo la costa verso Porto garibaldi
Lasciata piazza Garibaldi su cui campeggia ardito il monumento dedicato all’eroe, è sulla nazionale che ora, via terra, raggiungiamo quello che oggi è chiamato Lido delle Nazioni, a qualche km da Porto Garibaldi che al tempo era ancora conosciuta come Magnavacca, prima che dal 1919 assumesse il nuovo nome.
A Lido delle Nazioni si trova infatti, ancor oggi esistente e sede di un piccolo quanto curato museo, il Capanno Cavalieri dove Garibaldi, Anita, e l’aiutante da Campo “Leggero” (al secolo Giovanni Battista Culiolo) trovarono rifugio dopo che il brigantino austriaco “Oreste” aveva interrotto all’altezza di Punta di Goro la navigazione dei 13 bragozzi, catturandone otto.


Costretti allo spiaggiamento gli equipaggi scampati alla cattura si diedero alla fuga in un territorio allora caratterizzato da paludi e acquitrini, prima che, cioè, le trasformazioni della bonifica dei primi anni del ‘900 mutarono radicalmente trasformandolo in quello che oggi ci appare.
Le antiche paludi della costa romagnola
Fortunosamente da Comacchio giunsero ben presto gli aiuti e fu proprio il patriota Nino (Gioacchino) Bonnet che, messi al sicuro il Generale e Anita, iniziò a organizzare la fuga nei particolari, dando così avvio a quella che sarà raccontata dalla storia come la Trafila garibaldina, ovvero quella rete di aiuti e personaggi eroici che a rischio della propria vita resero possibile, attraverso mille peripezie, lo scampo di Garibaldi dalla asfissiante ricerca degli austriaci.
“Con Bonnet a cui confesso di dovere la vita – commenta lo stesso Garibaldi nelle memorie autobiografiche – comincia la serie dei miei protettori, senza cui non avrei potuto peregrinare per trentasette giorni, dalle foci del Po al golfo sterbino, ove m’imbarcai per la Liguria.”
Casa Cavallina, Casa Zanetto, Casone della Lanterna, Casone Paviero, Tabarra Agosta, Chiavica Bedoni, i luoghi toccati nella fuga nelle valli e nei canali di Comacchio, fino alle Mandriole, dove nella fattoria Giuccioli, tra gli stenti, Anita si spense nella notte del 4 agosto.

Vi giungiamo anche noi dopo aver toccato l’attuale Porto Garibaldi e immergendoci proseguendo verso Comacchio nel panorama unico di questi luoghi tra Terra e Acqua.
Nelle terre della “Bonifica”
E’ seguendo la strada d’Argine Agosta che, superato il canale a bordo di un traghettino, arriviamo al corso del Reno all’altezza di Sant’Alberto, con una sola deviazione però, quella per toccare il paese a cui, nato nel ’39 dalle terre emerse con la bonifica, fu dato il nome di Anita, in ricordo e in onore di questa indomabile eroina risorgimentale.
Il luogo che fu per almeno un decennio la sua tomba si trova tra il bosco a qualche centinaio di metri dalla fattoria Giuccioli dove una stele si innalza, quasi dimenticata a ricordo.
Superata Casalborsetti la strada prosegue ora sulla provinciale per incontrare, all’altezza del moderno porto industriale di Ravenna, il Capanno del Pontaccio divenuto poi Garibaldi, un altro dei luoghi topici della fuga verso Ravenna prima e Forlì poi.

Forlì e la fuga verso la Toscana
Con un viaggio tribolato vi giunsero nella notte tra il 14 e il 15 agosto. Qui, davanti al cimitero monumentale, avviene il passaggio tra i protagonisti della parte ravennate e quelli forlivesi, o meglio, avrebbe dovuto avvenire perché al momento dell’arrivo sul luogo dell’appuntamento non vi era nessuno a causa del ritardo accumulato sull’orario stabilito. Attraversata la città nella notte, ecco Terra del Sole e il confine tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana.

Il paesaggio della pianura diventa un ricordo e inizia il cammino tra i monti.
Li attendeva a Modigliana un prete del tutto speciale, quel Don Giovanni Verità che, pratico dei luoghi per la sua passione per la caccia, fece da guida per un lungo tratto a Garibaldi e “Leggero”. Da Terra del Sole e Castrocaro, inizia così anche il nostro viaggio tra le prime cime appenniniche che, con la dolcezza delle loro curve e tornanti, ci fanno gustare appieno il piacere della guida quando la strada si fa stradina come all’altezza di Pieve Salutare con una deviazione sulla SP54 poco prima di Dovadola per visitare un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, quella Villa Raggi che, come ricordano busto e lapide, diede rifugio per la notte ai fuggitivi e ai loro accompagnator

L’appennino Tosco-Romagnolo
E’ poco dopo Dovadola, che con ciò che rimane del suo antico castello recentemente restaurato domina ancora la statale che si allunga verso il Passo del Muraglione e la Toscana, che deviamo verso Modigliana e il Passo del Monte Trebbio.
E’ qui che dovette avvenire il primo incontro con “Don Zvàn”, com’era chiamato dai suoi parrocchiani, per poi, attraverso percorsi secondari tra boschi e campi, giungere a Modigliana nella notte del 21 agosto.

Dopo aver seguito l’SP21 lasciamo Modigliana e le sue testimonianze storiche di grande bellezza – la porta d’ingresso al centro storico, la Tribuna, o il ponte della Signora, nella prima periferia, o ciò che rimane dell’antica Rocca dei Conti Guidi – per seguire, come travestiti da carbonai fecero Garibaldi e Leggero, il corso del torrente Accereta, che lasciata la città si spinge nell’intimità dell’Appennino.
In moto tra Romagna, Emilia e Toscana
Raggiunta Marradi è attraverso la stradina intervalliva che da Badia della Valle giungiamo fino a Popolano.
Siamo nel cuore più selvaggio di questi monti, fuori dalle rotte più battute come quelle che dovette scegliere Don Giovanni Verità nella fuga.
E’ di valle in valle che ora prosegue il percorso, prima superato Passo Carnevale fino a Palazzuolo sul Senio, poi, superato il Valico del Paretaio, fino a Coniale, per proseguire toccando Sasso di San Zenobi fino al Passo della Raticosa e a Filigare, dove maestoso come un tempo si erge il complesso doganale, costruito nel 1818 da Ferdinando III di Toscana a controllo del confine con lo Stato Pontificio, che ancor oggi sorprende “per la sua magnificenza il passeggero, nel vedere tanta grandezza all’ingresso della Toscana nella parte più alpestre e poco abitata dell’Appennino.”

A Filigare Garibaldi, “Leggero” e “don Zvàn” si separeranno e prenderà inizio la parte Toscana che dalla spiaggia di Cala Martina portò i fuggiaschi in salvo a Porto Venere, in Liguria, ma che, purtroppo, rappresentò solo una tappa di un lungo viaggio che porterà Garibaldi esule in America.
Una storia, un viaggio
E’ un tragitto che, per essere capace di condurre nel cuore della montagna, sembra disegnato apposta per la moto e per godere della bellezza di un territorio fuori dai grandi flussi. Non a caso il Passo della Raticosa è tra i luoghi cult per tutti gli appassionati delle due ruote ed è qui che, con il termine della Trafila romagnola, si conclude il nostro viaggio.
La trafila di Garibaldi – la Trafila di garibaldi – la Trafila di garibaldi